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STEFANO DI MARINO

Definire lo scrittore Stefano Di Marino un autore di genere, è riduttivo. Personaggio poliedrico – è appassionato di Estremo Oriente, arti marziali e fotografia – passa infatti con disinvoltura dalla narrativa thriller a quella di avventura, dalla spy story, al noir all'horror, passando per il fantasy. Noto soprattutto per i diciassette anni di simbiosi letteraria con Chance Renard, protagonista della celebre saga del "Professionista" - scritta con lo pseudonimo di Stephen Gunn - è autore di numerosissimi romanzi e racconti.

Com'è nata la tua esigenza di scrivere?
Penso di aver cominciato a scrivere quando ho iniziato a leggere a sei, sette anni. Dai tredici a oggi, che ne ho cinquantuno, non ricordo un periodo della mia vita in cui non abbia scritto, prima a mano, poi con la macchina da scrivere e alla fine con il computer. Non ero ancora cosciente del fatto che scrivere sarebbe diventato il mio lavoro, anche se speravo di farlo. Ma in realtà dell'editoria non conoscevo niente. Avevo anche una certa abilità nel disegno, poi mi sono reso conto che ci voleva moltissimo esercizio per avere dei risultati, che invece la scrittura mi dava già. In seguito ho coltivato la mia passione per le arti visive con la fotografia. Continuando a scrivere, sono arrivato in ambito professionale con una notevole scuola alle spalle.
Ho scritto dei manuali e tengo anche dei corsi di scrittura. Sono utili, ma non bastano. Quello che ti insegna maggiormente a fare un lavoro, soprattutto di questo genere, è la pratica.

L'esperienza nelle redazioni com'è arrivata?
Ho iniziato molto presto in un ufficio stampa sportivo, che mi ha insegnato a lavorare con i tempi e i modi giusti e a parlare con facilità in pubblico. Il che mi è ancora utile per tutta l'attività di promozione che svolgo oggi. Poi ho cominciato a proporre raccontini e articoli a riviste femminili, le uniche che in Italia pubblicavano racconti. Ho fatto un po' il percorso che ha fatto Scerbanenco all'epoca, cioè quello di adattarmi a scrivere testi che magari erano un po' lontani dal mio ideale narrativo. Dopo ho iniziato a scrivere per riviste di thriller e gialli.

L'amore per il giallo e quello per la scrittura sono contemporanei?
Sì. Come tutti i ragazzi ho iniziato a leggere prima i fumetti, poi Salgari, poi i gialli di "Segretissimo". Mi piaceva molto anche questo tipo di cinema. L'ambito culturale e cinematografico in cui sono cresciuto, degli anni '60-70, era di impronta americana o anglosassone.
Però so che tu sei stato anche molto influenzato da un certo tipo di sceneggiato italiano, che andava in voga in quegli anni, mi riferisco a titoli come "Ritratto di donna velata"…
Il mio filone principale è thriller-avventuroso, a metà tra Salgari, western, 007, thriller americano, in sostanza tutto quello che noi bambini dell'epoca vedevamo al cinema. I thriller italiani erano purtroppo vietati ai minori. Guardavo però gli sceneggiati italiani del sabato sera. Con gli anni ho sviluppato una vera passione per il thriller di genere italiano e ho iniziato a recuperare materiale e a studiarlo con un occhio più tecnico, entrando in contatto con le persone che lo avevano effettivamente realizzato. Uno di questi è Biagio Proietti (sceneggiatore tra gli altri di "Coralba" e di "Dov'è Anna?"), che ho conosciuto a un festival l'anno scorso e che è diventato un amico. Questo tipo di produzione, dove c'è meno violenza e si gioca più sulla suspense, è quella che io riservo oggi ai rotocalchi tipo "Confidenze", aprendomi a un pubblico più vasto, magari femminile.

Proprio in relazione al "Professionista", puoi dirci come è nata la storia di Chance Renard, che, a tuo stesso dire, è il personaggio con cui ti identifichi di più?
Sì, proprio perché viviamo insieme da diciassette anni. L'idea parte da un ragazzo – in origine un personaggio di un fumetto mai realizzato - che scappa di casa per entrare nella Legione Straniera e diventare un avventuriero. Ci riesce, scopre che quel mondo non è quello che aveva sognato, ma alla fine vi rimane, perché non sa fare altro. Che poi è quello che è successo a me. Io ho sempre voluto lavorare nell'editoria, ho fatto di tutto per entrarci e, anche se poi ho realizzato che non era proprio come l'avevo immaginato, alla fine non so fare altro. Ma è andata meglio a me che a lui, perché io non mi devo alzare tutte le mattine per ammazzare qualcuno. Il personaggio nasce nel '95 quando il direttore di "Segretissimo" mi propose di scrivere una serie simile a quella di "SAS", la più venduta da anni. Che a sua volta era nata in Francia nel '65, quando era morto Ian Fleming. Di tutte le serie sul filone Bond che erano nate negli anni '70 - '80, questa di "SAS" era l'unica sopravvissuta, perché oltre al racconto spionistico avventuroso-esotico-erotico, aveva dei tratti distintivi. Pensai quindi di creare un personaggio che fosse svincolato da tutta quella serie di ambiti e istituzioni che ormai non avevano più motivo di essere, perché, con la fine della Guerra Fredda, la lotta tra i servizi segreti non esisteva più. Volevo un personaggio che, pur rimanendo lo stesso, potesse essere protagonista di avventure diversissime tra di loro. Una formula originale che si è dimostrata vincente. Abituare il lettore che, dopo un certo numero di anni, c'è qualche piccolo cambiamento, ti permette di tenere aggiornata la serie, di non rendere noioso il racconto e di non cristallizzare il personaggio. Quest'anno "Il Professionista" è risultata la serie più venduta della collana, per cui, oltre a fare degli episodi nuovi e fare una serie di ristampe, ho creato anche la storia di un bisnonno del Professionista, membro delle Brigate del Tigre nella Parigi di Fantomas.

Il tuo stile narrativo è molto ricco, con un uso della lingua italiana particolarmente ponderato soprattutto nelle descrizioni. Per il lettore l'immedesimazione è facile, perché si trova di fronte ad uno story-board ricchissimo di particolari. Come definiresti il tuo stile?
In effetti quando scrivo un libro è come se facessi un film. Sono il direttore della fotografia, il costumista, lo sceneggiatore. Questo si combina con la mia passione per i viaggi e la fotografia. Quando viaggio scatto una quantità enorme di fotografie, le studio e colgo sempre il particolare che può essermi utile in fase narrativa per dare pennellate dell'ambiente e creare delle vere e proprie inquadrature. Sia il cinema sia il fumetto sia la narrativa hanno dei punti in comune, ma dei media diversi. Nella narrativa il tuo occhio è la parola, quindi la scelta di un termine o di un aggettivo è importante. Il lettore deve avere la possibilità di scorrere la storia come se guardasse un film.

Il lavoro di traduttore ti ha influenzato nel tuo amore per la lingua italiana?
Sì, è una scuola fenomenale, perché lavori sulla lingua per cinque o sei ore al giorno. Soprattutto se hai la fortuna di lavorare su autori che ti piacciono e si avvicinano al tuo modo di scrivere. In questo caso impari da loro senza studiarne la forma. Io traduco moltissimo dall'inglese e anche un po' dal francese. La sintassi inglese è molto diversa dalla nostra, non si può tradurre letteralmente, va resa scorrevole lavorando su tutto il testo, dai dialoghi alla costruzione della frase. Qualcosa che nessun manuale o corso può insegnare.

L'ingrediente a cui non rinunceresti mai tra Estremo Oriente, azione o erotismo?

L'ingrediente fondamentale è che ti piaccia la storia. Non ho un filone prediletto, vado a periodi, dopo quattro o cinque storie esotiche, magari ho voglia di cambiare. Ti faccio un esempio. Sono sempre stato un grande appassionato di Oriente e ho viaggiato parecchio, poi nel '92 ho scoperto il cinema di Hong Kong, quando in Europa, a parte la Francia, era praticamente sconosciuto. Sentivo sempre parlare dei film di John Woo e riuscii addirittura a reperire delle cassette secam. Rimasi folgorato, perché avevano fatto dei passi da gigante, soprattutto nelle scene d'azione. Divenne una passione collezionistica totalizzante e per quattro, cinque anni tornavo da Londra, Parigi e dall'Oriente con valigie di videocassette. Ma, a un certo punto, dopo essermi documentato in ogni modo e aver riportato questo mio interesse anche nella scrittura, c'è stato un momento in cui non ne potevo più. Dopo ho scoperto e recuperato in maniera ugualmente ossessiva dei prodotti italiani.

Tu sei molto presente sul web, sia a livello promozionale, tramite i social network, sia a livello editoriale, con le versioni dei tuoi romanzi in formato ebook. Credi molto nell'editoria web?
Sì, anche se vorrei dirti di più. Ho iniziato a occuparmi del web due anni fa, quando un professore mi invitò insieme ad altri autori a tenere un corso all'università sulle nuove tecnologie e la rete. Allora non sapevo praticamente nulla di libri elettronici, infatti il mio fu un intervento sulle possibilità della rete come autopromozione. Poi ho iniziato a lavorare con testi in digitale. Penso però che in questo ambito l'Italia sia molto indietro rispetto ad altri paesi. C'è resistenza da parte di molti editori, ma anche di diversi autori, che a volte hanno l'impressione che se non vedono un testo non stiano facendo un libro, che il libro cartaceo dia più emozioni. Io personalmente ci credo molto e a breve uscirò con un libro di un marchio editoriale che esce direttamente su Amazon, con la possibilità di avere un print on demand. Penso che l'alternativa digitale sarà inevitabile nei prossimi cinque, dieci anni, perché stampare e diffondere un libro costa sempre di più. Poi i libri sono ingombranti. Reperire le informazioni su un eReader, un tablet, piuttosto che sul web è molto più agevole. E' difficile far capire questa cosa al pubblico e soprattutto agli editori, che in parte fanno finta di accettarla. Non si può far uscire un libro cartaceo a tredici euro e un ebook a nove. Si tratta pur sempre di un file, non ha costi di distribuzione e di stampa. A quel prezzo preferisco il cartaceo. Io credo nell'ebook, ma oggi per guadagnare devo lavorare sul cartaceo.

Tre autori irrinunciabili.

Richard Stark, Don Winslow e Jean-Christophe Grangé. Stark è un autore del passato, da cui però c'è ancora molto da imparare. Winslow riflette la mia vena più nera, Grangé quella del thriller psicologico.

Hai mai pensato di trasporre i tuoi libri al cinema?
Due anni fa ho lavorato con Dino De Laurentiis. Una sera mi telefona lui in persona. E' una persona fantastica, ma alla fine abbiamo lavorato sei mesi per un soggetto di sedici pagine. Mi chiese di scrivere qualcosa per sancire il ritorno al cinema di Schwarzenegger, che aveva appena finito la carriera politica. Riscrissi il soggetto decine di volte, passando dalla spy story al thriller, alla commedia, senza mai avere l'approvazione. L'idea cambiava continuamente, anche perché si faceva capo alla casa di produzione Universal che, al contrario di De Laurentiis, probabilmente non amava far lavorare autori italiani esterni. Un giorno, stremato, getto la spugna, ma su sua insistenza, finalmente riesco a proporgli quello che ha in mente. Soggetto pagato. Dino soddisfatto. Manca solo l'approvazione di Arnold. Finché un giorno De Laurentiis mi chiama dicendomi che aveva interpretato male le intenzioni di Arnold, che in realtà ora voleva tornare al cinema con dei film impegnati…

Altre esperienze?
Anni fa una consociata della Titanus comprò i diritti per fare uno sceneggiato televisivo da "Il sangue versato", il mio primo romanzo del '90. Il film non fu mai fatto, ma fu la volta in cui venni pagato di più in assoluto. In realtà finisce sempre che in televisione sono molti più i soggetti comprati rispetto a quelli realizzati. La televisione è l'unica che fa veramente fiction, solo che ha bisogno di prodotti particolari, ne vorrebbe fare di diversi, ma poi non ne fa. Per esempio anni fa Cappi, Pinketts ed io fummo contattati da Fox Crime per fare dei telefilm di tipo americano. Gli presentiamo dei progetti e alla fine loro ci rispondono sorpresi: "Però questo non è "Don Matteo"!". L'editoria italiana è relativamente più semplice. Per esempio con la serie de "Il Professionista" mi dissero subito che il nome italiano poteva essere un problema, perché la collana ha sempre pubblicato opere thriller di autori americani.

Recentemente hai pubblicato una novella sul mondo della moda, "Sortilegio". Ce ne vuoi parlare?
"Sortilegio" inizialmente è uscita come una novella per "Confidenze", poi è stato fatto un ebook per Area 51. E' una storia di tipo argentiano, alla "Sotto il vestito niente" con tutti gli elementi di glamour tipici del mondo fashion milanese, che ben si adatta al thriller. Un ambiente che ho conosciuto da vicino grazie all'amicizia con Paolo Parente, grande illustratore fantasy e di alcuni miei libri, che è stato per anni direttore dell'Istituto di Moda Marangoni.

Hai dei progetti particolari di cui vuoi parlare?
Oltre alla serie legata al mondo avventuroso che continuo a produrre, mi sto occupando molto di saggistica sul cinema, soprattutto di genere. Uscirà infatti una collana per ebook che si chiamerà "Cinema di genere", legato a tutte le produzioni cinematografiche, non solo italiane, ma anche americane, francesi e orientali. Un altro progetto a cui sto lavorando è una rivista formato digitale che si chiama "Action", diretta ai lettori di "Segretissimo" e del "Professionista". Contiene miei racconti, ma anche di altri autori, reportages di cinema, viaggi e avventura. Parallelamente, abbiamo fatto una serie di romanzi di azione, che sono usciti sia in digitale sia in limitate tirature cartacee, che hanno riscosso notevole successo. In futuro ospiteremo una serie di autori e di volumi, come l'ultimo che si chiama "Pirati", che prende spunto dai centocinquant'anni della nascita di Salgari, ma anche da altri testi su pirati come Stevenson, dai fumetti, dal cinema e dalla storia.

(Isabella Rotti)

 

 

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